Parasite di Bong Joon-ho

di Mariachiara Leone

Dagli Oscar 2019 al “piccolo schermo” Parasite entra di diritto nella cultura pop. Recente è la notizia secondo cui il film diventerà una graphic novel ed una serie tv targata Hbo.

Cosa fatta parrebbe essere la trattativa tra Hbo ed il regista Bong Joon-ho e nei prossimi anni in tv andrà in scena la serie tv tratta dal film sud coreano “Parasite”.

Ma perchè “Parasite” è entrato a far parte dell’immaginario collettivo?

Risulta scontato affermare che il film è in qualche modo l’affresco della crisi dell’uomo contemporaneo che va al di là del contesto culturale (sud coreano) in cui il film è ambientato. 

Entra di diritto nel panorama culturale pop poichè la narrazione delle vicende familiari che si dipanano nel film diventano dinamiche relazionali universali.

Una trama che si svolge sotto gli occhi dello spettatore come fosse un romanzo.

Anche per questo, la storia si presta moltissimo a diventare un prodotto pop amatissimo dai lettori di tutto il mondo: una graphic novel.

C’è poi il discorso serie tv con la casa produttrice americana Hbo che si è accaparrata anche questo colpaccio.

Nonostante le difficoltà legate la periodo pandemia infatti, la Hbo ha comunque portato a termine progetti validissimi, l’ultimo dei quali la seconda stagione di His Dark Matirials (serie trasposizione dell’opera letteraria di Pullman- Queste oscure materie). 

Sulla serie tv (cast e curiosità) vige un vero e proprio Top Secret. Una cosa è certa però e cioè che essa non sarà un remake del film ma esplorerà altre tematiche di contorno lasciate in superfice dalla pellicola.

Ma cosa ha reso Parasite un film da Oscar?

Sul piano artistico è senz’altro vincente dal punto di vista della “maniacalità del dettaglio” sia per la sceneggiatura che per quanto riguarda fotografia, scenografia e la totalità delle maestranze messe in campo per la realizzazione del film.

La casa è uno dei protagonisti principali del film, all’interno della quale si svolgono la maggior parte delle scene  ed aveva per cui bisogno di una cura estrema data dalla realizzazione a partire da zero dell’architettura stessa degli ambienti. 

A rendere poi così interessante il film sono la particolare attenzione ai costumi (che determinano tantissimo la “classe sociale” dei vari personaggi chiamati in scena durante il film) e l’attenzione alla tradizione culinaria sud coreana ( la maggior parte delle scene che si svolgono a tavola giocando un ruolo fondamentale per far comprendere allo spettatore i legami relazionali  dei due nuclei familiari e la classe sociale a cui appartengono). 

C’è poi la trama vera e propria: quella di due gruppi familiari e le loro vicissitudini che si intersecano in un gioco del doppio perfetto (gli attori chiamati a caratterizzare i personaggi in questo hanno svolto un lavoro chiave per la riuscita dell’intera pellicola).

Denuncia sociale “impacchettata ad arte” con accattivante design di sentimenti e spazi, di vuoti e pieni: quelli dell’architettura, quelli dei personaggi.

Come precedentemente detto il film fa quello che tipicamente fa un romanzo: dipanare una storia attraverso multilinee narrative ed una di queste, nel caso di Parasite, è la “vita” degli oggetti. 

“Puoi continuare a guardare e riguardare il film e trovare sempre qualcosa di nuovo”

Si può guardare il film e restare su un primo livello di lettura. 

Si può riguardare il film e spostarsi in prospettiva visionandolo dal punto di vista narrativo degli oggetti e seguirne l’arco narrativo che svela la “meticolosità” della macchina che è Parasite.

Ogni personaggio ha un peculiare oggetto che lo contraddistingue e che si porterà dietro durante il corso degli eventi.

L’oggetto “re” che svolgerà un ruolo chiave dall’inizio alla fine (cui è legato un discorso  sullo sciamanesimo sud coreano) è la pietra ornamentale che Min (con il volto dell’attore Park  Seo Joon) offre a Ki Woo.

Questo oggetto è portato in “casa” di Ki Woo da Min come un dono fatto alla famiglia e il significato della pietra ornamentale è quello di donare ricchezza alla famiglia che lo possiede.

Dal punto di vista simbolico l’augurio e la “magia” della pietra avviene portando la famiglia ad entrare in contatto con l’altro nucleo familiare della narrazione: i Park.

Oggetto che viene dato al padre di Ki Woo che viene costantemente tenuto con cura e lavato (come fosse uno dei tanti indumenti della famiglia) dalla madre di Ki Woo e che infine rappresenterà un’arma.

Dunque anche nel caso dell’arco narrativo degli oggetti che animano la storia non verbale c’è insito il messaggio di denuncia sociale. 

Il secondo oggetto interessante è il disegno/opera del bambino (chiaro rimando caricaturale) alle opere di Picasso che però la madre del bambino rimanda a Basquiat.

Questo semplice oggetto ( per meglio dire la produzione di disegni del bambino) apre ad una serie di considerazioni. 

Davanti al disegno incorniciato del bambino Ki Woo identifica il soggetto come una scimmia. In realtà a detta della madre si tratterebbe dell’autoritratto del figlio.

Da questo semplice botta e risposta c’è insita la questione razziale in Sud Corea.

Nel dialogo è ancora la madre a rimandare non al “noto” Picasso ma all’artista Basquiat parlando del genio artistico del figlio. Rafforzando “la gaffe” di Ki Woo.

Se si considera, infatti, l’intero dialogo davanti a quel disegno incorniciato, il rimando voluto della madre al writer statunitense  di colore invece che al “noto” Pablo Picasso e al chiaro tentativo di apparire “di nicchia”, di cultura rispetto alla “massa” che appunto “conosce i famosi” ed “ignora gli sconosciuti”, anche questo oggetto nella narrazione assume una vita tutta propria nel grande calderone di denuncia che è il film.

C’è poi una profonda satira legata all’ammiccamento alla cultura statunitense. 

Non a caso il bambino è “patito” della storia dei nativi americani, gioca con arco e frecce e si veste o gioca con simboli appartenenti alle radici culturali statunitensi.

Molto nel film viene lasciato al non detto ed è forse anche per questo che si è sentito la necessita di esplorare questo prodotto culturale da altri punti di vista, esplorare tutti quegli input di ragionamento che Parasite spinge a fare.

Dunque cosa potremmo aspettarci dalla Graphic novel?

Sicuramente una attenta analisi artistica di intrattenimento su tutti quegli elementi non animati che hanno reso la storia un piccolo capolavoro.

Mentre cosa potremmo immaginare per la serie tv?

Magari una storia antecedente all’arrivo della famiglia Park nella casa di quell’architetto “ombra” nella narrazione del film.

Possiamo volare alto insomma con la fantasia ma non c’è dato sapere cosa attenderà lo spettatore/lettore dai prodotti che gravitano attorno al film “Parasite”.

Una cosa però è certa, il regista e l’enorme lavoro dell’intero staff chiamato a “dirigere i lavori” ha realizzato un gioiello che si aggiunge alla corona della cinematografia sud-coreana facendola di fatto conoscere ad un pubblico più vasto: quello del mainstream.