Pop Art: L’adeguamento dell’arte alle masse e delle masse all’arte

“La riproducibilità tecnica dell’opera d’arte modifica il rapporto della massa verso l’arte,

che da estremamente retrivo, per esempio nei confronti della pittura,

si converte in estremamente progressivo […]

Con questo il comportamento progressivo è sopraggiunto in maniera radicale”

                           

(Walter Benjamin)

Assistiamo oggi ad una crisi dell’arte. In un’epoca in cui la massa possiede strumenti all’avanguardia per poter riprodurre e “fare” arte (fotografie, collage, disegni etc.) qual è il ruolo dell’artista nella società?

Nel momento in cui l’artista perde il primato di “creatore di immagini” che scopo deve porsi oggi per potersi dire tale? Di conseguenza quale ruolo assume l’arte nella vita delle persone e più in generale, cosa andare a scrivere di questo periodo storico/artistico nei futuri manuali e testi di storia dell’arte?

Viviamo in un’epoca in cui la comunicazione avviene quasi esclusivamente per immagini più che per parole. Le domande che assillano la mente di chi vuole essere artista e successivamente gli “addetti ai lavori” sono tante, forse troppe. Si è immersi in continui problemi da affrontare e risolvere. Caos generale, una situazione geopolitica tutt’altro che stabile e lineare. Siamo “distratti” dall’oggi e tendiamo a dimenticare che l’arte ha affrontato altre crisi ed una di queste è connessa in maniera coesa a quella affrontata oggi. Basti pensare alla nascita della fotografia, successivamente del cinema, della televisione ed infine della pubblicità. Gli anni 50 del Novecento sono forse il dato più eclatante. Il movimento artistico che si diffuse in varie parti del globo, il caso tangibile di una storia che tende alla ciclicità e dunque potremmo quasi definire il nostro tempo una Pop Art 2.0 nel quale il “dato tecnologico” con il quale l’arte deve fare “i conti” sono i Social.

Storia della Pop Art

Nel 1951 il sociologo canadese Marshall McLuhan pubblica “La galassia Guteberg”, un libro che anticipa la rivoluzione nel campo delle comunicazioni elettroniche: fotografia, cinema, e poi televisione e computer, avrebbero sempre più minacciato il ruolo esclusivo degli artisti come creatori d’immagini.

Sulla sia di queste considerazioni sociologiche destinate a fare scalpore per oltre un decennio, nel 1954 il critico inglese Lawrence Halloway, riflettendo sul valore delle immagini nella società di massa, conia il termine Pop Art (dove pop sta per popular).

Sono più o meno queste le connotazioni che verranno date a questa nuova estetica nascente: facile, transitoria, suggestiva, commerciale, massificata.

Un movimento artistico che intende superare la contrapposizione fra arte d’avanguardia e arte di massa o commerciale, riconoscendo la rivoluzione avvenuta nel campo della comunicazione e quindi nella cultura visiva delle masse urbane, rivoluzione che minaccia il ruolo dell’artista. La pop art, al contrario, si appropria di questa cultura visiva “popolare” attingendo ampiamente al mondo del cinema, della televisione e della pubblicità. Essa si caratterizza fin da subito per la sua insostenibile “leggerezza”, per la sua attitudine distaccata nel trasformare ogni immagine in oggetto-segno ripetibile all’infinito. La proposta di un’arte per cui conta solo il successo popolare, priva di quella funzione conoscitiva e ideologica tipica della tradizione europea.

Mostre e Curiosità

Nel 1956, viene organizzata a Londra, presso la Whitechapel Gallery, la mostra “This is Tomorrow” che espone le opere di Hamilton, David Hokney, Ron Kitaj, Allen Jones e altri. Si tratta di un’arte che prende atto della cultura visiva delle masse urbane utilizzando la tecnica del collage, la ripetizione formale di alcuni elementi, il riferimento continuo a cinema e pubblicità.

Nel 1961 la pop art viene promossa negli Stati Uniti con la mostra The art of Assemblage, in cui viene esaltato il legame con la linea antirealista europea. L’immagine pop viene infatti considerata un “sistema di segni e non realismo”. Ed è in questi anni che New York è in fermento dove, va delineandosi sempre più chiaramente un sistema commerciale dell’arte composto di una fitta rete di gallerie private in collegamento con mercanti e collezionisti privati.

Nel 1962 Sidney Janis (ricco produttore di abbigliamento, collezionista d’arte e gallerista) dedica una mostra alla pop art internazionale invitando americani, inglesi, italiani, francesi e svizzeri. La collettiva si intitola “The New Realists”, versione anglosassone del Nouveau Rèalisme francese. A ciò segue un notevole impegno promozionale sia pubblico che privato, e la fondazione di musei, case editrici e istituti di cultura all’estero.

Volti noti e poco noti della Pop Art

Gli artisti che hanno segnato la strada della Pop Art e dunque i volti noti del movimento sono senza ombra di dubbio: Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Claes Oldenburg, Richard Hamilton, Robert Rauschenberg e Jasper Johns.

Ma sono da citare assolutamente anche quegli artisti delle retrovie, quei volti che hanno segnato il modo di fare arte nell’epoca della riproducibilità (quindi l’attuale arte contemporanea) in maniera silenziosa ed incisiva: Keith Haring, David Hockney, Robert Indiana, Jasper Johns, Yayoi Kusuma, Takashi Murakami, Cleas Oldenburg e Robert Rauschenberg.

“Pop art è amare le cose”

 (Andy Warhol)

Insomma, da questi pochi accenni ad un movimento artistico che ha cambiato il nostro modo di concepire l’arte e gli artisti, possiamo apprendere tanto, possiamo in qualche modo “risolvere” i problemi e le domande che continuano e continueranno ad assillare il mondo artistico e cioè tutte quelle problematiche che nascono e nasceranno ogni qual volta la rivoluzione tecnologica porterà nuovi strumenti con cui doversi interfacciare. Stiamo già assistendo ad una Pop Art 2.0 se consideriamo tutte le interpretazioni, i rifacimenti di opere artistiche della classicità e dell’arte moderna. Rifacimenti in chiave contemporanea per le masse; queste nuove operazioni da parte dei nuovi volti dell’arte contemporanea, non fanno altro che mettere in pratica il buon vecchio metodo della pop art e cioè “fare propri i nuovi strumenti, la nuova cultura d’immagini commerciali, per le masse”, appropriarsi della cultura pop per “adeguare” l’arte alle masse e le masse all’arte!

FONTI

“L’arte e la storia dell’arte” a cura di Rita Scrimieri

Materiale video: Youtube

Foto: Stile.it; Rome Garden Hotel; Robert Indiana; michiganintheworld.history.lsa.umich.edu; wmagazine; uozzart.com; exibirtart

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