Coloro che frequentano per passione i musei ed i luoghi culturali, il fruitore medio, coloro i quali svolgono percorsi di studi nell’ambito artistico/culturale, tutti sono stati lentamente “abituati” al: ciò che andava creato e rivoluzionato è stato già fatto.
Si è per cui creata assuefazione ed è “normale” oggi considerare l’arte, la cultura e le menti sature di “nuovo già visto”. Una Pop Art 2.0 nel quale non si crea più nulla ma si disfa e si “svecchia” ciò che è già noto, conosciuto, usato, consumato.
Questa mostra del resto è una prova tangibile della difficoltà da parte di curatori, galleristi e di tutte le professionalità del settore, di portare al fruitore artisti poco noti ma che hanno segnato inequivocabilmente la storia dell’arte. Produzioni artistiche che aspettano di essere “scoperte” e “riscoperte” ma che per tutta una serie di fattori (in primis le esigenze economiche), vengono “accantonate” a favore di grandi nomi dell’arte che attirano una grande quantità di persone.
Questa mostra, infatti, è stata un successo ed ha attirato migliaia di visitatori da ogni parte d’Italia e del mondo; che avvalora la tesi secondo cui l’arte è un prodotto che va “venduto” perché enti museali, privati, sono immessi nel mondo del mercato (in questo caso artistico) che non fa “sconti” a nessuno.
Era per cui necessaria? E’ sempre necessario creare mostre nel quale viene presentato un grande nome dell’arte attraverso punti di vista nuovi, inediti e creativamente stimolanti. Ma è anche necessario riflettere sul come sia altrettanto importante rendere in parallelo mostre “di punta” con una tipologia di mostre “scoperta” che possono andare a centrare l’obiettivo di portare davvero un contributo nuovo nella società contemporanea.
Possiamo dunque riflettere sul cambiamento che ha investito le esposizioni degli ultimi vent’anni. Sempre più interattive, coinvolgenti, immersive, sempre più mainstream, divertenti e funzionali allo scopo, vendere.
Possiamo soprattutto riflettere su come strumenti sempre più all’avanguardia debbano essere messi a servizio dell’arte e non viceversa.