Cina: Mo Yan e realismo allucinatorio

copertina Mo Yan

di Mariachiara Leone

La Cina attraverso la vita e le opere del Premio Nobel per la Letteratura 2012: Mo Yan.

Una citazione che calza a pennello per “aprire” questo excursus su Mo Yan è questa:

La Cina è un luogo di distanze continue. Il viaggiatore o chi si trova a viverci da straniero intersecano continuamente le traiettorie della differenza. La frequentazione della Cina insegna a misurare la distanza giorno dopo giorno, e – appunto – non c’è misura più efficace degli incontri. Delle donne e degli uomini cinesi.

Il luogo comune che vuole la Cina un Paese impossibile da conoscere va ridimensionato, forse negato: la Cina è un Paese che si conosce attraverso la distanza. Gli incontri, e dunque le persone, sono porte d’accesso alla differenza. Nelle persone la distanza si riduce, i capi della fune si avvicinano. E spesso le persone sono in grado di fornire, con un po’ di fortuna, una sintesi di questioni altrimenti quasi inaccessibili”

Marco Del Corona- Un tè con Mo Yan e altri scrittori cinesi

Ecco dunque che la persona/porta che, con le sue opere letterarie, colma l’enorme distanza (soprattutto culturale) tra “noi occidentali” e la Cina è:  Mo Yan.

Attraverso le sue opere, il lettore “impara a conoscere” in particolare le zone rurali della Cina. Un territorio immenso, gestito da un governo centrale con capitale a Pechino che ha come grattacapo “gestire-controllare” una Nazione vastissima.

Da “quel bambino cacciato da scuola” a “lo scrittore controverso 

Mo Yan è uno scrittore fortemente criticato per le sue scelte politiche (da sempre vicino al partito comunista cinese ed al leader Xí Jìnpíngnon solo da altri scrittori ed artisti cinesi (Ai Weiwei per citarne uno) ma anche dal mondo intellettuale occidentale.

Critiche quanto elogi ricevuti con ancora più forza quando, nel 2012 riceve il Premio Nobel per la Letteratura.

Eppure quanta strada ha compiuto “quel bambino cacciato da scuola ” che ritroviamo nell’eco di uno dei suoi personaggi, appunto un bambino, nel racconto “Bocca larga”.

Ma chi è Mo Yan e perchè viene paragonato molto spesso a Gabriel García Márquez e William Cuthbert Faulkner ?

Nato in un villaggio di contadini nel ’55, Guan Moye è il vero nome dello scrittore conosciuto come Mo Yan.

Egli decide di avvalersi di uno pseudonimo che letteralmente significa “non parlare”, in un mestiere (quello dello scrittore) dove la voce del narratore risiede più nelle parole che scrive che in quelle che pronuncia. 

“Chiunque abbia pensato che agivo per spirito
di contraddizione, che ero privo di senso morale, che
odiavo la scuola e tutti gli insegnanti, mi ha clamorosamente frainteso. In verità, per la mia scuola io provavo un attaccamento profondo, e al nostro maestro
Liu Bocca Larga riservavo un sentimento ancor piú
speciale. Perché anch’io avevo una bocca enorme. Ho
scritto un racconto intitolato Bocca larga e il bambino
della storia l’ho modellato su di me”

Cambiamenti-Mo Yan

Interessato a tematiche quali: la resistenza dei contadini cinesi all’invasione dei giapponesi (negli anni 30/40), la Rivoluzione Culturale (giro di boa della storia nazionale cinese) ed ancora del tema della natalità in Cina, egli rielabora il “realismo magico” in letteratura che, nei suoi scritti, diventa un “realismo allucinatorio”.

Molti critici letterari, infatti, accostano i suoi romanzi a quelli di Faulkner e Márquez.

Questo perché Mo Yan, proprio come i sopracitati, inserisce all’interno della narrazione del reale (quasi sempre vicende storiche) uno o più elementi surreali che rendono l’atmosfera onirica (nonostante la violenza degli eventi il lettore sembra trovarsi faccia a faccia con un sogno che con fatti invece realmente esistiti). 

Da “Le rane” a “Sorgo rosso” ai meno noti  “Grande Seno, Fianchi Larghi” e “Le Sei Reincarnazioni di Ximen Nao” la scrittura di Mo Yan è intrisa del gioco delle sovrapposizioni.

I personaggi di Mo Yan

Prepotente è il gioco delle sovrapposizioni o, ancora meglio, il “nascondere” nei propri testi un pezzetto di ciò che si è (forse anche senza esserne del tutto coscienti) che Mo Yan sembra fare all’interno dei suoi romanzi.

Ecco come appaiono i personaggi creati dallo scrittore, estensioni, in altri casi invece, veri e propri alter eghi (come il caso di Girino nel romanzo Le rane). 

In “Le rane” ad esempio egli tratta il tema scottante e delicato della legge sul controllo delle nascite in Cina facendo in realtà un doppio lavoro.

Mentre il protagonista della storia è preso dalla stesura di un testo teatrale sulla sorprendente vita della zia (ginecologa prima e “strumento del governo centrale” dopo), lo scrittore pone al lettore una questione di gran lunga più urgente: la redenzione.

Fatto noto (altro elemento che lo rende una figura “scomoda” e “controversa”) è che non ha mai nascosto d’aver fatto abortire la moglie in nome della carriera.

Attraverso i personaggi di Girino e di Wan Xi, Mo Yan cerca quasi di espiare scelte/colpe personali ma sembra anche voler fare molto di più. 

Al lettore più attento pare che tra le righe (di questo quanto di romanzi familiari quali Grande seno, fianchi larghi) cerchi le radici di quella Cina socialista che si è persa nel capitalismo.  

Cosa “narra” del resto Mo Yan se non delle proprie radici (quasi sempre villaggi contadini molto lontani dalla realtà della capitale: Pechino)?

In “Grande seno, fianchi larghi”, egli racconta di una famiglia (ancora una volta facente parte di una comunità contadina di un villaggio di periferia) con al “comando” una donna. 

Un romanzo che è, per ammissione dello stesso scrittore, dedicato alla madre ed al suo rapporto con essa.

Un romanzo che è soprattutto, per il lettore, una ricerca nella storia cinese del Novecento, di quegli elementi che rendono la Cina la Nazione che è oggi.

Non sfuggono, infatti, i continui richiami ad un’altra sua narrazione, “Sorgo rosso”, sia nei personaggi femminili sia per tematiche ed atmosfere. 

Ancora una volta gioco di sovrapposizione tra le proprie storie. 

Ed ancora una volta la sensazione di “qualcosa di nascosto” durante la lettura. Qualcosa che è chiave e allo stesso tempo porta al “vero” Mo Yan.

La vista della pancia le suscitò un’altalena mentale di ombre e luci, simili al cielo estivo di Gaomi quando improvvisamente da scuro e nuvoloso diventa limpido e di un blu intenso. Non osava quasi guardarsi quella pancia così grande e dura. Una volta aveva sognato di essere incinta di un gelido pezzo di metallo. Un’altra volta di un rospo bitorzoluto”

Grande seno, fianchi larghi-Mo Yan

In “Le Sei Reincarnazioni di Ximen Nao”, poi, egli ancora una volta rimesta nel “privato” facendo “nascere” il personaggio di Ximen Nao.

Un proprietario terriero ucciso per mano dei suoi contadini alla vigilia dalla rivoluzione cinese. 

Ximen Nao vaga nelle tenebre subendo i supplizi dell’inferno convinto di aver condotto una vita giusta.

Non cede mai e non si pente mai (ancora una volta il dilemma della redenzione/espiazione) tanto da stufare il Signore della morte che gli concede di reincarnarsi per tornare ai luoghi che egli abitava.

Da asino a toro, da maiale a cane, da scimmia e solo infine da essere umano, Ximen Nao torna sulla terra vivendo alcune tra le più drammatiche pagine di storia cinesi (Rivoluzione culturale, la morte di Mao Zedong ecc)

“Un’avventura tragicomica lunga mezzo secolo, ricca di invenzioni e popolata di personaggi straordinari”

Un solo colore tinge le mani di chi legge un qualsiasi romanzo di Mo Yan: il rosso.

Una sola grande domanda aleggia sui suoi scritti e sul Mo Yan scrittore.

Cosa vuole raccontarci davvero di sé e della Cina?