Origami di Sabatina Napolitano

Origami, l’esordio alla narrativa di Sabatina Napolitano. Un buon modo di festeggiare il Dante dì? Recuperare il suo romanzo, presentato da Renato Besana per il Premio Strega 2022. Abbiamo intervistato la scrittrice.

Origami di Sabatina Napolitano è l’esordio alla narrativa della poetessa e critica letteraria Sabatina Napolitano. Selezionato da Renato Besana per il Premio Strega di quest’anno, siamo riusciti a chiacchierarne con la scrittrice nel giorno del Dante dì.

Qual è stata la molla che ha fatto scattare in lei l’esplorazione della prosa e dunque del romanzo rispetto alla poesia, ma soprattutto cosa rappresenta “Origami” nel suo percorso di scrittrice?

Maria Bellonci scrive il suo primo libro dal titolo “Clio e le amazzoni”. Lo fa leggere al futuro marito Goffredo Bellonci, e con questo libro comincia il loro amore. Origami in un certo qual modo sugella un amore di lunga durata. Un amore letterario, con momenti di pace, momenti di passione e di guerra. Una passione letteraria affrontata con romanticismo e slittamenti metaforici. Ma quello che è più decisivo appartiene alla realtà. E Origami è pieno della realtà di questo gioco letterario. Ho scelto una copertina con uno sfondo giallo, un giallo che mi ha accompagnato insieme al blu della letteratura, certo un giallo lontano dalle tonalità ocra di alcuni dipinti come quelli di Piero della Francesca. Tuttavia credo che Origami possa definirsi un capolavoro modernissimo dal gusto antico. Dove per antico si intende tutta quella letteratura postmodernista europea e statunitense che amiamo molto.

Altro elemento peculiare del romanzo sono i luoghi e le suggestioni che innescano nel lettore. C’è un motivo particolare che l’ha spinta a preferire determinati ambienti rispetto ad altri?

Ho scelto come ambientazione di questo romanzo, una biblioteca. Anche se mi sento molto attirata dagli ambienti museali e da quelli accademici. Avrei potuto scrivere un libro con dei personaggi accademici, come piace molto fare a Nabokov, anche perché sono attratta fortemente dagli ambienti accademici. Mi è piaciuto dedicare il romanzo a degli impiegati che ruotano intorno a una biblioteca. Tra le donne Olga, Ada, Rossana, Ellen, Nina, Nora, Regina e tra gli uomini Gustavo, Jeremy, Edoardo.

Come persona non amo gli uomini competitivi, disprezzo le donne arriviste, amo collaborare con donne empatiche, vissute che sono entrate nella loro croce, quella vera, che dà la vita. Ritengo che il mondo letterario sia popolato da tante donne stupide e in particolare da donne che non sono state veramente amate ma lasciate in parcheggio per essere meno di scandalo ai progetti, magari impulsivi e di fatto cattivi di uomini sbagliati. Ma non sta a me giudicare delle scelte destiniche.

Soffermandoci sulla trama del romanzo, senza anticipare nulla al lettore, che cosa racconta “Origami”?

Origami è un romanzo di destino perché parla del destino della protagonista, Olga. Ma parla anche del destino di tante altre donne. Come accennavo prima è un romanzo che nasce da un sentimento romantico, mi vengono in mente quelle bellissime illustrazioni alle fiabe, intendo sì quelle di Errol Le Cain. Itaque nasce come una fiaba moderna, un racconto che si affaccia nelle sale di una biblioteca dove le impiegate ballano, si intrattengono coi colleghi, piangono per un lutto, allestiscono dei giochi per il “weekend degli origami”.

Olga è una donna dalla forte personalità ma è al contempo segnata da cicatrici che sembrano trovare sollievo solo quando si dedica ai libri. Cosa può dirci in più sulla complessa personalità di Olga?

Olga è legata al marito da una fortissima passione, ma ha dei problemi. Problemi nelle scelte, che sono di ogni donna ma in lei vengono rappresentati dalle voci di Emilio (l’amante) e Rossana (l’amica). Olga è una donna che non si arrabbia mai nel corso del romanzo, solo con Piera, la odia e le ispira violenza. Il marito, Gustavo, non è uno di quegli uomini che hanno bisogno della giusta serenità per stare bene, anzi, lui è un uomo di indole serena. I Miso sono ambiti e facoltosi, potenti e popolari, quindi anche Olga, nasce come una di noi, ma poi nel corso del romanzo si sviluppa fino a diventare una donna popolarissima e celebre. La letteratura e i libri sono i grandi protagonisti della biblioteca di Itaque. I lettori che hanno letto il romanzo ne colgono il fascino degli ambienti e della favola, la magia che proviene dai libri.

Durante la stesura di “Origami” c’è stato un momento di scrittura, un passaggio che si porterà particolarmente nel cuore?

In Origami si parla anche dell’Africa così come dell’America. Ci sono due bambini orfani, Sudeva e Mugambi, che diventano protagonisti di alcune scene a metà del romanzo. Quella è la parte che ho scritto che mi ha commossa di più e per me più toccante.

Cosa significa per lei scrivere e la relazione profonda con lo studio di Nabokov?

Una volta mi sono specchiata in una pozzanghera che credo si fosse formata da diversi giorni. Mi sono sorpresa a notare non solo che Nabokov mette una pozzanghera quasi per ogni suo romanzo, ma che una certa attenzione illuminata ci catapulta nella realtà ispirata che è una realtà parallela che solo certe persone sentono come realtà propria. È in quel tipo di realtà illuminata che avvengono le scoperte migliori. Distinguo lo sguardo che applico alle cose, e mi accorgo quando lo sguardo diventa “ispirato”, cosa me lo fa capire? Il fatto che questo tipo di “sorpresa” che definirei “ispirata” non è epifanica e non porta in sé uno strascico di malinconia o gioia. Consiste nel saper leggere la realtà come un cartomante sa leggere i tarocchi. Solo che l’illusione dello scrittore è come avvalorata da dio, non è una illusione da ciarlatani o saponari. Nel caso dello scrittore si parla di sguardi illuminati seri. In questo sguardo di scoperta c’è il trampolino, lo slancio e l’immersione dell’evento letterario, della letteratura. Al di fuori di questa ritualità e semiotica credo sia difficile parlare di letteratura. Senza il costante compromesso della vita, delle emozioni e del sangue è difficile parlare di letteratura, diventa un supporre per concetti o peggio ancora un dare per scontato le amicizie. Nel carrello della spesa di uno scrittore c’è sempre la grammatica della vita, delle regole del suo sogno, dei suoi amori e travagli, delle sue fantasie.

La nostra conversazione è legata alla curiosità circa il nome della nostra associazione. Di come cioè, grazie a tale curiosità è poi nato il contatto diretto seguito dalla lettura e la conseguente conversazione sul romanzo. Come mai?

Quando penso alla mia stanza da letto, quella mia e di mio marito, penso alla tenda, la tenda dell’anima. È in quella tenda che entra in moto il discorso erotico, e creativo, ed è in quella tenda che avviene la famiglia.

Una città simile alla tenda dell’anima per me è Venezia, a cui ho dedicato anche diverse poesie. Prima che morisse (che si sapesse la notizia della morte di Monica Vitti da Walter Veltroni via Twitter) ho postato una foto di Venezia con delle luci oro sui social. Anche quando stavo molto male con la polmonite, sentivo sinceramente i miei polmoni come se fossero bagnati dall’acqua alta di Venezia. Sono stata da giovanissima in quella città, ma è il suo Natale, sofisticato e denso, che mi coinvolge.

Quando sto molto male mi sento a Venezia, come se quella città bagnata e indifesa fosse simile a me quando sono al punto di una tragedia, di un piccolo dramma ma che è feroce. Quando sono stata veramente male nella mia vita ho spesso pensato a Venezia, forse perché l’atmosfera è capace ad assorbire i miei lutti come se li vivessi per la prima volta sempre. Me ne sono accorta sopratutto quando è morta mia nonna Anna il 30 ottobre del 2019.

Mi sono portata dietro una polmonite per più di un mese fin tanto che sono finita al pronto soccorso esausta con 25.000 globuli bianchi, ma senza un briciolo di tosse. Sono stata molto male in quel momento, come non ero mai stata capace di soffrire e nelle notti che non riuscivo a raggiungere il bagno, e avevo difficoltà ad alzarmi dal letto… sentivo Venezia. Era in me come un monito di farcela, di non abbandonare lo spirito, di potercela fare.

Quando ora vedo le cartoline del canal Grande, di piazza San Marco, della Fenice, di Rialto, della Chiesa della salute, del Ca’ D’oro, dei toni rosati della laguna, penso sempre che la medicina mi ha guarita, che senza medicina ero morta e che esiste la cura. Ho imparato a credere più profondamente alla scienza e all’umanità, pur conservando lo scetticismo e il cinismo degli adulti. Venezia è una città che mi preoccupa molto per la crisi ambientale, se ne parla solo in momenti topici ma dovrebbe parlarsene sempre.

Per sensibilizzare sull’argomento ho scritto anche un racconto “al piano interrato” ispirato ad una foto di Gianluca D’Andrea.

Con quell’episodio della polmonite ho imparato non solo a credere alla medicina (e con i vaccini, possiamo affermarlo ora tutti), ma anche al valore salvifico della letteratura.

Stavo talmente male che non riuscivo ad alzarmi dal letto, ma non ho mai smesso di scrivere, e ho recensito con il sedere dolente per le siringhe. Non vi racconto questo per impietosirvi, ma perché il pigiama sì, va bene quando si è malati, e quando si ama qualcuno, ma il letto è l’esigenza di incontrarsi nudi.

La storia dell’arte è costellata dai letti delle dame, delle dee, o degli amanti. Per ora dormo da sola, ma spero che Venezia possa bagnarmi e benedirmi con le sue acque verdi, al punto che la passione che mi ha investito per scrivere Origami possa avvalersi ancora di prove di professionalità per essere di orgoglio per molti.

Nella camera da letto ci si sente sempre come dopo una diagnosi, in attesa di cure e attenzioni altre, che sazino l’anima e i sensi come fa la poesia, e solo una certa letteratura del cuore.

Oggi, 25 marzo 2022, ricorre il Dante dì e come meglio chiudere la nostra piacevole conversazione con un aneddoto legato al primo incontro con Dante. C’è un ricordo, o appunto aneddoto, legato al suo personalissimo rapporto con il “sommo poeta”?

Per un omaggio a Dante ho voluto ripercorrere il canto VIII del Purgatorio. Qui Guido Guinizzelli dialoga con il sommo poeta fino a introdurlo all’incontro con Arnaut Daniel. Dante pronuncia due volte la parola “padre” con intensità. Questo canto ragiona su ciò che il poeta intendeva per poesia, sul distacco dalla scuola del Duecento. Nei versi 88-132 descrive l’incontro con Guinizzelli riconoscendolo come padre dei poeti stilnovisti. Molto toccante quando poi Guinizzelli chiede al poeta un Padre Nostro da recitare per lui davanti a Gesù. Non dimentichiamo che “Al cor gentil rempaira sempre amore” è considerato il manifesto dello Stilnovo. Con questi versi il poeta si dichiara successore di Guinizzelli e Cavalcanti ma allo stesso tempo rimanda a un tempo ormai concluso la poesia stilnovistica:

“quand’io odo nomar sé stesso il padre
mio e de li altri miei miglior che mai
rime d’amore usar dolci e leggiadre”

questa riflessione critica sul poeta Dante mi sta molto a cuore, e richiama a discorsi ben più complessi.