di Mariachiara Leone
Da Mieko Kawakami a Sakuraba Kazuki. Quando la letteratura contemporanea giapponese non è solo Murakami.
Quando si “parla” di letteratura contemporanea giapponese, in Italia si tende a consigliare “i citatissimi” Haruki Murakami e Ryū Murakami.
Ultimamente edizioni e/O ha proposto, all’interno del proprio catalogo editoriale, due “bombe a mano” : Meiko Kawakami e Sakuraba Kazuki.
Prima bomba di carta: Seni e uova di Mieko Kawakami
Parrebbe semplice recensire questo romanzo ed invece è davvero difficile coglierne tutte le sfumature in una sola seduta di lettura.
Questo, infatti, è un romanzo che va letto una prima volta per godere della storia, dei personaggi e della prosa della scrittrice. Poi va riletto una seconda volta per coglierne a pieno la “rivoluzione culturale”.
Una cosa è certa che lo si legga una, due, anche tre volte, questo romanzo è “una granata letteraria nel mondo della fiction giapponese, polverosa e dominata dagli uomini”.
Ma cosa narra Meiko Kawakami in Seni e uova?
La trama è di una semplicità estrema. Le vicende sono ridotte all’osso per potersi concentrare sulla esplorazione psicologica di tre donne, legate tra loro dal “sangue”.
Il primo personaggio che il lettore incontra è anche la voce narrante delle vicende: Natsu.
Natsu alle prese con: la sua vocazione da scrittrice ed il suo tentativo di affermarsi nonchè la sua paura di invecchiare non avendo costruito nulla di concreto (nell’ ultima parte del romanzo intraprenderà un percorso di fecondazione assistita).
C’è poi la sorella della voce narrante, Makiko, alle prese con la figlia, Midoriko, che ha deciso di non parlare più comunicando solo attraverso un blocknotes e solo se estremamente necessario.
Perchè “punisce” la madre?
Parrebbe, nella prima parte della narrazione, che questo silenzio sia dovuto alla decisione materna di rifarsi il seno in una clinica privata. Ma Makiko è davvero nella “crisi di mezza età”?.
Infine la narrazione compie un salto in avanti tornando sulla protagonista e le vicende che le “appartengono” con l’introduzione finale di un ultimo personaggio. La “ciliegina narrativa” dell’ intera vicenda.
Ad incorniciare questo affresco psicologico della donna contemporanea giapponese c’è il Giappone.
Un paese che tenta di elaborare una crisi ed affrontare il profondo cambiamento sociale dovuto ad una fortissima spinta dall’esterno (movimento Me Too etc).
Oltre alle tre donne ci sono poi dei personaggi di “contorno” che permettono alla scrittrice di esplorare altre problematiche della società giapponese quale ad esempio la questione Lgbt (è solo un piccolo accenno ad inizio romanzo che vale però quanto una doccia fredda sia per i lettori asiatici che per quelli occidentali).
Infatti, personaggi quali Yuriko ed il personaggio maschile del romanzo, Aizawa, permettono a Kawakami di esplorare, attraverso la condizione della donna in quanto “strumento di procreazione”, la condizione dell’uomo e la problematica sempre più pressante della “sterilità” maschile.
Altro tabù che la scrittrice affronta all’interno del discorso sulla sessualità è “l’essere asessuati”. La mancanza di eccitazione, di attrazione fisica e bisogno di essere (nel caso della donna) “penetrata”.
Questo perchè, anche se non detto esplicitamente (nonostante il testo presenti moltissime parti esplicite) la protagonista pare “soffrirne”. Ed esplorando il “bisogno” di maternità, la scrittrice si sofferma più e più volte su questa “connotazione” di Natsu.
Da “Seni e uova” a “Red Girls” la sensazione è che ci sia una urgenza di porre al centro della narrazione e del dibattito culturale asiatico la donna in quanto tale per poter rivendicare poi le problematiche legate alla sfera maschile: all’uomo contemporaneo (in questo caso giapponese).
Con “Red Girls”, infatti, sembra che il discorso portato avanti da “Seni e uova” si rafforzi ancora di più facendone emergere similitudini ed intenzioni comuni forse involontarie, forse non propriamente volute, da parte delle due autrici.
Seconda bomba di carta: Red Girls di Sakuraba Kazuki
Dell’autrice non si conosce molto. Potremmo quasi definirla la Elena Ferrante della letteratura giapponese in quanto alla decisione di far parlare le sue opere e non la sua “immagine”.
Sotto questo punto di vista sempre più scrittori stanno intraprendendo la strada dell’anonimato.
Questo perché moltissimi si stanno sottraendo al “circo mediatico” editoriale che vuole tour, letture pubbliche etc.
Sempre più preponderante è infatti il dibattito sul pubblico/privato in tutta la sfera culturale (dunque non solo nel contesto editoriale della letteratura mondiale).
In sintesi allora cosa si sa dell’autrice senza volto?.
Sakuraba Kazuki ha scritto Red Girls, ha iniziato la sua carriera scrivendo sceneggiature e fanfiction ispirate al mondo pop dei videogiochi; prima di questo romanzo fece parlare di se con il racconto breve “My man” (divenuto poi film acclamato).
Una scrittrice che appunto vuole che si “parli di lei ” solo in rapporto alle proprie opere.
La sua “voce” è a fine romanzo in una preziosissima postfazione in cui racconta il processo creativo che ha portato alla realizzazione di Red Girls.
Ma che tipo di romanzo è Red Girls?
Red Girls è prima di tutto una storia familiare tutta al femminile.
Una struttura narrativa divisa in tre parti in cui l’autrice stessa afferma l’intenzione di voler creare una commissione di generi diversi in una unica opera narrativa.
“Ho subito deciso di strutturare il romanzo dividendolo in tre parti così da cambiare atmosfera di volta in volta. La prima parte voleva ricordare un romanzo storico, la seconda uno shōjo manga e la terza un racconto mistery per ragazzi”
Una nonna chiaroveggente, un omicidio, una storia familiare, ma soprattutto un Giappone atipico per un romanzo che ha come punto di estrema forza l’elemento LGBT.
La voce narrante della storia è quella di Tōko che racconta, partendo dalla storia della nonna Man’yō , quella che è la leggenda della famiglia Akakuchiba.
Molto importanti sono i luoghi in cui è narrata la storia di questa secolare famiglia proprietaria di una fonderia. Luoghi che hanno a che fare con le origini della scrittrice che egli stessa cita nella postfazione.
“Sono passati quattro anni da quando l’ho scritto tra la primavera e l’estate del 2006 dopo essermi rntanata in un appartamento preso in affitto nel mio paese natale, Tottori”
Come in Seni e uova, in Red Girls, ci si trova di fronte ad una narrazione che vede al centro tre generazioni di donne di uno stesso nucleo familiare alle prese con il CAMBIAMENTO.
Un cambiamento che non riguarda solo la sfera personale ma l’intero assetto sociale e politico del Giappone, con tutto quello che comporta essere donna mentre tutto ciò avviene e continua a fluire.
Alle tre donne di “Seni e uova”: Natsu, Makiko e Midoriko, si sovrappongono (quasi fosse una gigantesca narrazione a quattro mani) le tre donne di “Red Girls”: Man’yō, Kemari e Tōko.
La differenza stilistica tra le due narrazioni, accomunate dal tentativo di narrare attraverso occhi di donna, il Giappone degli utlimi cinquant’anni è , da parte di Kazuki affiancare per ogni generazione di donna un periodo storico del paese.
Con le vicende di Man’yō (nonna della voce narrante della storia) il lettore verrà immerso nel folklore giapponese, in quel tempo storico (dal 1953 al 1975) che la scrittrice identifica come ” l’epoca degli ultimi miti”.
La storia di una donna che il lettore vedrà dipanarsi tra le pagine da quando poco più che bambina incontra una donna che le cambierà l’esistenza, la matrona della famiglia Akakuchiba.
Con le vicende di Kemari (che rappresenta la seconda generazione della famiglia Akakuchiba, madre della voce narrante) il lettore è catapultato negli anni tra il 1979 ed il 1998 che la scrittrice identifica come l’epoca del grandioso e del vuoto.
Kemari, un personaggio appassionato, ribelle ed intransigente. Una donna tutta d’un pezzo, temprata dalle difficoltà della vita e dal trovarsi “sulle spalle” l’intera gestione familiare. Una donna la cui amicizia con un personaggio “secondario” sarà fondamentale fino all’ultimo respiro.
Ed infine, l’ultima parte del romanzo. L’arco narrativo di Tōko che arriva agli anni contemporanei, il 2000 che la scrittrice identifica come futuro.
In questa ultima parte si “svela” l’arcano, la scoperta del significato di quelle ultime parole della nonna e di una Tōko alle prese con l’ombra della madre. Una madre fredda, distante, sconosciuta.
Una donna non fatta per la maternità, il matrimonio e le convenzioni sociali?. Una donna la cui figlia gli è estranea? Chi è e cosa rappresentano l’una per l’altra?.
Queste le ultime domande che concludono una narrazione senza pari, intervallate da lunghe parentesi in cui la scrittrice esplora altri temi a lei cari.
In “Red Girls” così come in “Seni e uova” sono, infatti, fondamentali i personaggi “secondari” che permettono a Kazuki di introdurre un discorso a tema Lgbt.
Inserimento della tematica gender con il personaggio di “Telescopio” (un nomignolo affibbiatogli per i suoi grandi occhi a palla nerissimi e distanti uguali ad un pesce tipico della zona).
Nemica/amica della nonna della narratrice delle vicende, “Telescopio” è una donna fuori dagli schemi per l’epoca in cui si trova a vivere e la situazione del fratello (nella narrazione indicato come un uomodonna) accentua un discorso molto toccante.
“Un giorno in Giappone spero ci possa essere un posto per gli uomodonna come mio fratello”.
Un gancio narrativo che ritorna con il personaggio maschile di Namida (lacrima in giapponese). Fratello di Kemari e zio di Toko. Anche lui un “nascosto”, troppo fragile, troppo sensibile per i tempi crudeli ed oscuri degli anni 60/70 del Giappone.
Cosa accomuna queste due autrici? Perché queste due letture sono fondamentali per capire in che direzione si sta dirigendo la letteratura giapponese contemporanea?
Anche in “Red Girls” si parla della condizione femminile per esplorare in profondità la sfera maschile. Il tentativo di “riavvicinare” la donna all’uomo e l’uomo alla donna comprendendo che gli uni sono diversi e fondamentali per gli altri senza dover sottostare ad un equilibrio di potere fondato sulla sostituzione dell’uno sull’altro.
I due romanzi sono: da un lato il tentativo riuscitissimo di “rivendicare” lo spazio nella letteratura da parte delle autrici molto spesso relegate alla “narrativa considerata di serie b” dall’altra la profonda volontà di abbattere le barriere dell’incomunicabilità tra i due sessi.
Incomunicabilità sorta dal silenzio, troppo spesso imposto, delle donne.
Cosa che testimonia in qualche modo la costante voglia di squarciare il velo che separa la realtà dalla donna asiatica stereotipata dalle rappresentazioni che filtrano arrivando in Occidente tramite prodotti pop come serie tv, film e manga.
In breve, la donna asiatica kawaii cede il passo ad una donna “pozzo” (prendendo in prestito un concetto caro a Murakami). Una donna insondabile, affascinante e complessa che si pone nei confronti dell’uomo alla pari.
Due romanzi dunque di due donne che raccontano un’ unica grande storia che rivendica la “libertà personale” e lo fanno rivolgendosi a tutti, al di là di qualsiasi etichetta, senza eccessi di forma e senza sventolare una bandiera, quella del femminismo, troppo spesso abusata, “usata” ed anche male da un sistema che di fatto ha bisogno di “placare il caos e la confusione” etichettando.