Squid Game: polemiche e sospetto di plagio

di Andrea D’Isanto

Squid Game: polemiche e sospetto di plagio sul nuovo fenomeno pop sud coreano.

“Centinaia di individui a corto di denaro accettano uno strano invito a competere in giochi per bambini. Li attende un premio invitante, ma la posta in gioco è mortale.”

E’ questa la sinossi ufficiale di “Squid game”, la nuovissima serie Sud coreana prodotta da Netflix.

Una serie talmente strabiliante che grazie al solo passaparola degli utenti e senza alcun tipo di campagna marketing (come avvenuto per La Casa de Papel o Sex Education) ha, in pochissimi giorni, scalato la vetta della classifica Netflix.

Non è difficile capire come mai Squid Game abbia conquistato davvero tutti: dai ragazzi della generazione Z (più abituati a guardare influencer stremmare su Twitch che film al cinema) ai cinefili più pretenziosi.

Le vicende disperate, le situazioni violente da cardiopalma che i protagonisti sono chiamati ad affrontare, catalizzano totalmente l’attenzione soprattutto dello spettatore più giovane (che abitualmente usufruisce dei prodotti seriali come sottofondo mentre controlla il telefono o è impegnato a fare altro); mentre la regia, i ritmi narrativi serrati e l’approfondimento psicologico della vita dei protagonisti innescano l’inevitabile empatia e la fascinazione dello spettatore più critico.

Alcuni fruitori però, peccando di superficialità, hanno definito “Squid Game” un plagio della serie manga “As the Gods Will” da cui è stato tratto un film omonimo nel 2015.

I protagonisti di “As the Gods Will”, proprio come in “Squid Game” e “Alice in Borderland” (altra serie giapponese Netflix) devono affrontare dei bizzarri giochi mortali per poter sopravvivere e vincere un premio che permetterà di cambiare la propria esistenza per sempre.

Perché allora nasce questa polemica proprio con l’uscita della serie sud coreana e non con quella giapponese, più vecchia anche di un anno?

La risposta è molto semplice, in entrambe le opere il primo gioco a cui i partecipanti devono sopravvivere è “Un, due, tre stella”.

Molti si sono fermati a questo banale punto in comune, perdendo del tutto di vista il vero significato che questa serie incarna: una spietata critica sociale.

I protagonisti per quanto si sentano “obbligati” a partecipare a Squid Game sono in realtà liberi di scegliere. La decisione cioè di partecipare scaturisce dalla loro possibilità di usare il libero arbitrio.

I personaggi diventato soggetti alle regole omicide dei giochi perché loro stessi vogliono partecipare, e anche quando verrà data loro la possibilità di ritirarsi, dopo essere stati messi al corrente di ciò che comporta partecipare ai giochi, confermano nuovamente la loro scelta.

I protagonisti di “As the Gods will” e “Alice in Borderland” proprio come quelli di “Battle Royale”, e la sua controparte occidentale ben più famosa “Hunger Games”, non hanno scelta, sono già soggetti a forze o entità più potenti di loro che non li fa essere padroni della propria vita.

Queste storie hanno tutte una connotazione fantascientifica o distopica in comune, il che pone le loro vicende su un piano del tutto irreale e dunque distanti da quello che è Squid Game.

Le vicende di “Squid Game”, al contrario infatti, si svolgono nella vera e brutale Sud Corea di oggi.

Un paese dove ormai il capitalismo è nella sua fase più avanzata ed il cui rapido sviluppo economico non ha permesso alla popolazione di “stare al passo con i tempi”.

Una situazione che ha acuito la già forte disparità ricchi/poveri radicando ancora più a fondo un’oligarchia già da tempo inamovibile che non lascia alcuno scampo ad “abitanti inabissati nella povertà e nella disperazione”.

Squid Game è già un vero e proprio fenomeno pop. Perché guardarla?

La visione non servirà solo a includervi nel club dei TopTrend ma anche per affinare il vostro “gusto seriale” e le vostre conoscenze sulla cultura sud coreana.

Scommettiamo?