Letteratura sud coreana: cosa leggere?

di Mariachiara Leone

Letteratura sud coreana: cosa leggere? Da Han Kang a Pak Kyongni. Consigli di lettura su cosa recuperare se si è patiti di kdrama e Sud Corea

La letteratura sud coreana  sta pian piano arrivando anche in Italia e (nonostante venga tradotto troppo poco rispetto alla vasta produzione editoriale del Sud Corea) ci sono alcuni romanzi da non lasciarsi scappare.

Complice il successo della serialità sud coreana nel mondo e soprattutto del fenomeno BTS nella discografia musicale mondiale, per il Sud Corea questi sono anni d’oro che ricordano il Boom nel settore culturale che ebbe in Occidente il Giappone. 

Quali sono i romanzi tradotti in Italia che è possibile recuperare?

“La storia ci ha traditi ma non importa”

E con questa primissima frase che si apre il romanzo di Min Jin Lee “La moglie coreana”.

L’autrice, americana di origini coreane, si addentra nel periodo forse più buio della storia coreana: gli anni trenta del 1900 e lo fa raccontando la storia di Sunja.

“Quando Sunja sale sul battello che la porterà a Osaka, in Giappone, verso una vita di cui non sa nulla, non immagina di star cambiando per sempre il destino del figlio che porta in grembo e delle generazioni a venire. Sa solo che non dimenticherà mai il suo Paese, la Corea colpita a morte dall’occupazione giapponese, e in cui tuttavia la vita era lenta, semplice, e dolce come le torte di riso di sua madre”

La scrittrice descrive, attraverso le quattro generazione della famiglia di Sunja, non solo il Sud Corea occupato dai giapponesi ma anche il Giappone.

Min Jin Lee si addentra in un discorso molto più ampio ed attuale che riguarda l’essere diventati estranei per il proprio paese e stranieri per il paese di arrivo. 

Sunja infatti si trova a dover affrontare moltissime problematiche legate al suo essere “la moglie coreana”, la straniera soprattutto in un periodo storico in cui appunto tra giapponesi e sud coreani non “correva buon sangue”.

Una saga familiare all’interno della quale viene sviscerato  un periodo storico drammatico per la Corea del Sud (il kdrama Chicago Typewriter ne ha attinto a piene mani).

La scrittrice inoltre si serve di un altro elemento per descrivere i fatti e le situazioni che la famiglia, in particolare alcuni membri, si trovano a vivere ed affrontare: il gioco proibito del Pachinko.

“Perché essere coreani nel Giappone del XX secolo, attraverso tutte le tempeste che la Storia riserverà a quegli anni densi e implacabili, è come giocare al gioco giapponese proibito, il pachinko: un azzardo, una battaglia contro forze più grandi che solo uno sfacciato, imprevedibile colpo di fortuna può ribaltare”

Un romanzo che si presta meravigliosamente alla trasposizione in kdrama.

Un kdrama dalla produzione globale, che verrà trasmesso da Apple tv e che vedrà tra i protagonisti l’attore forse tra i più famosi e pagati in patria: Lee Min Ho.

Una serie tv che moltissimi attendono soprattutto per gli enormi investimenti, le ore di girato tra Giappone, Sud Corea e Stati Uniti e ovviamente per la trama. 

Un romanzo che da caso editoriale, tradotto in moltissimi paesi, si appresta a siglare definitivamente il boom culturale sud coreano in Occidente.

Attendendo il nuovo kdrama Pachinko, recuperare il romanzo è un buon modo per rendere giustizia ad una storia che ha il sapore dell’intrattenimento volto ad un lascito culturale.

Forse tra le prime pubblicate in Italia, Han Kang ha aperto le porte alla letteratura coreana contemporanea in Italia. 

Pubblicati dalla casa editrice Adelphi, prima “La vegetariana” poi “Atti umani”, hanno chiaramente acceso una luce sul bacino letterario degli scrittori sud coreani.

“… è un romanzo pieno di sesso ai limiti del consenziente, di atti di alimentazione forzata e purificazione – in altri termini di violenza sessuale e disordini alimentari, mai chiamati per nome nell’universo di Han Kang “

Han Kang, classe 1970, non ci regala un “romanzo carino” piuttosto un racconto lungo disturbante, che spiazza il lettore fin dalle primissime righe, che non è per “stomaci deboli” e non vuole assolutamente “rassicurare chi legge”.

Quello che la scrittrice ci racconta è una protagonista psicologicamente disturbata ed il lettore si troverà completamente immerso nella psiche di questa donna nel pieno del suo percorso per diventare vegetariana.

Una escalation di situazioni che come struttura narrativa e gioco “quasi sadico” con i nervi del lettore ricorda moltissimo la stessa escalation presente nel film Premio Oscar Parasite.

“Astenersi dal mangiare esseri viventi non conduce all’illuminazione. Via via che Yeong-hye si spegne, l’autrice, come una vera divinità, ci lascia a interrogarci su cosa sia meglio, che la protagonista viva o muoia. E da questa domanda ne nasce un’altra, la domanda ultima che non vogliamo davvero affrontare: Perché, è così terribile morire?”

Han Kang non è una scrittrice “per tutti” e non vuole esserlo. Il modo in cui scrive, i temi che sceglie di affrontare la rendono difficilissima da “digerire”.

Se con “La vegetariana” si proverà un misto di inquietudine e rigetto quasi netto per la protagonista, in “Atti umani” il lettore si troverà su vette narrative spietate.

Una penna crudele ed affilata tanto quanto la storia che racconta in “Atti umani”. 

“Una palestra comunale, decine di cadaveri che saturano l’aria di un «orribile tanfo putrido». Siamo a Gwangju, in Corea del Sud, nel maggio 1980: dopo il colpo di Stato di Chun Doo-hwan, in tutto il paese vige la legge marziale. Quando i militari hanno aperto il fuoco su un corteo di protesta è iniziata l’insurrezione, seguita da brutali rappresaglie; Atti umani è il coro polifonico dei vivi e dei morti di una carneficina mai veramente narrata in Occidente. Conosciamo il quindicenne Dong-ho, alla ricerca di un amico scomparso; Eun-sook, la redattrice che ha assaggiato il «rullo inchiostratore» della censura e i «sette schiaffi» di un interrogatorio; l’anonimo prigioniero che ha avuto la sfortuna di sopravvivere; la giovane operaia calpestata a sangue da un poliziotto in borghese. Dopo il massacro, ancora anni di carcere, sevizie, delazioni, dinieghi; al volgere del millennio stentate aperture, parziali ammissioni, tardive commemorazioni.”

E se con le prime due scrittrici ed i loro lavori si percorre un Sud Corea dalla storia moderna a quella contemporanea con Jo Hye-Ran si torna invece indietro alla società dell’epoca Chosŏn.

Donne di Choson. Da Ch’unhyang a Hyang-Rang appartiene alla saggistica e si concentra sul presentare al lettore quindici figure femminili dei classici coreani.

Jo Hye-Ran si è laureata in Letteratura coreana presso l’Università Femminile Ewha, specializzandosi in Letteratura antica con un master e un dottorato. Ha insegnato presso lo Humanitas College dell’Università Kyung Hee e attualmente è professoressa associata presso l’Università Femminile Ewha. Le sue ricerche vertono sull’estetica dei romanzi e sulla letteratura femminile antica. Le sue principali opere sono: Negli occhi delle donne di Chosŏn (2009); La narrativa classica e il genere (2011) e I classici, tra l’immersione e il senso estetico (2013)”

Dal personaggio del classico “Sogno delle nove nuvole” di Kim Manjung ad altre donne della letteratura classica sud coreana, Jo Hye-Ran ripercorre la storia femminile del Sud Corea.

Attraverso cinque punti di vista: il mondo umano, l’ambizione, il patriarcato, la sensualità e le riflessioni sulle donne abbandonate, il lettore verrà condotto per mano non solo all’interno della letteratura coreana ma anche verso quei temi così urgenti che riguardano la donna del XXiesimo secolo.

E se i romanzi non bastano, se i saggi non soddisfano la “fame di sapere” verso la cultura sud coreana allora interviene la poesia che più di ogni altra cosa al mondo riesce a travalicare la differenza tra culture.

Anche in questo caso il lettore si troverà di fronte ad un poeta, tra i più amati del Novecento in Corea, che ha vissuto nel periodo della colonizzazione giapponese e che insieme ad altri poeti ha rappresentato la Resistenza nel suo Paese.

Per questo motivo la raccolta “Vento Blu” rappresenta una ricchezza immensa perché testimonianza artistica non solo della produzione poetica di Yun Dong Ju, ma anche di un periodo storico fondamentale del Sud Corea.

“La raccolta Cielo, vento, stelle e poesia è qui tradotta per la prima volta in lingua italiana con il titolo Vento blu e contiene l’intera opera conosciuta del poeta; riguarda gli anni che vanno dal 1934 al 1942 e testimonia la graduale crescita artistica e intellettuale di Yun Dong Ju. Una crescita che coincide con il suo impegno letterario, i cui effetti convergono con quelli della resistenza politica e organizzativa posta in atto dai coreani per contrastare l’occupazione giapponese e la perdita di indipendenza del Regno di Corea”

Nei romanzi tradotti in Italia figurano poi capolavori come: “La danzatrice di Seul”,” Le nostre ore felici” e “Il signor Han” ma è forse con “Notti invisibili, giorni sconosciuti” che questo breve viaggio nella letteratura sud coreana giunge al capolinea.

Perché se c’è una cosa che accomuna la lettura di “Vento blu” a “Notti invisibili, giorni sconosciuti” è la delicatezza struggente della poesia.

“Per due anni, l’ex attrice ventottenne Ayami ha lavorato nell’unico «teatro sonoro» di Seul per non vedenti. Ma ora il teatro sta cessando l’attività e il futuro di Ayami è incerto. Completato il suo ultimo turno e chiuso il teatro per sempre, Ayami cammina per le strade della città con il suo ex capo fino a notte fonda. Insieme cercano un’amica comune che è scomparsa, mentre intorno a loro il labirinto dei paesaggi urbani inizia a popolarsi di personaggi misteriosi e immagini fantastiche. Il giorno seguente, su richiesta della stessa amica, Ayami fa da guida per un romanziere di polizieschi in visita dall’estero. Ma nell’afa che consuma senza scampo Seul in piena estate, l’ordine lascia il posto al caos. I confini della realtà iniziano a logorarsi e il passato si intromette nel presente in modi sempre più dirompenti”