La Cina in dieci parole di Yu Hua

di Mariachiara Leone

La Cina in dieci parole di Yu Hua. Un saggio originale, scorrevole e “leggero” per comprendere la Cina.

“La società cinese di oggi è grottesca: bellezza e oscenità, progresso e arretratezza coesistono” 

Molto più di un saggio, “La Cina in dieci parole” è anche una raccolta di racconti ed una “quasi autobiografia”.

L’autore, infatti, anche attraverso ricordi diretti ed esperienze personali, racconta il cambiamento attraversato dalla Cina negli ultimi quarant’anni.

Una ricostruzione, quella di Yu Hua, senza stereotipi e retorica, che, attraverso dieci parole sapientemente scelte, narra le vicende che hanno condotto il “paese di mezzo” alla più grande potenza economica del 21esimo secolo.

Ma chi è Yu Hua e perchè il suo “La Cina in dieci parole” è sempre attuale?

credit: Leggere a lume di candela

Era il lontano 1960, nasceva Yu Hua, scrittore tra i maggiori autori cinesi contemporanei.

Fortemente influenzato dai racconti di Yasunari Kawabata, esordisce (dopo aver compiuto studi di medicina) nel 1983 con alcuni racconti.

Come moltissimi altri scrittori della sua generazione, Yu Hua fu fortemente colpito dalla Rivoluzione culturale in Cina, una ferita profonda, che ha lasciato strascichi anche nelle nuove generazioni di giovani cinesi. 

Tra le sue opere, il romanzo “Vivere” (del 1992) e la raccolta di racconti  “Torture” (del 1997), segnano una svolta importante per la carriera letteraria dello scrittore.

“Una raccolta caratterizzata  della violenza come forma espressiva e chiave di lettura di una contemporaneità sospesa tra il passato e un presente in cui le strutture sociali tradizionali, in primo luogo la famiglia, resistono ma sono svuotate di ogni valore”

Una produzione letteraria chiaramente volta a “raccontare” le criticità e la sublime bellezza della cultura cinese sempre in bilico tra grottesco e progresso. 

Con il saggio “La Cina in dieci parole” riesce a disegnare un quadro lucido e privo di stereotipi, su “cosa c’è dietro” la crescita economica, veloce e vertiginosa, della Cina.

Anche se, in alcuni punti riporta dei dati statistici ampiamente superati (il saggio è edito dal 2012), resta ancora preziosissimo per “farsi un’idea” su cosa sia la Cina là dove oggi non si fa che parlarne.

Leggere la produzione letteraria di questo scrittore, i contributi giornalistici su testate, anche internazionali, può risultare di grande aiuto per comprendere al meglio certi meccanismi propri di una cultura a noi lontana (Cronache di un venditore di sangue ne è una prova).

“La Cina in dieci parole non è un’invettiva che strizza l’occhio al lettore, ma un canto appassionato delle sofferenze di un popolo, della meschinità degli esseri umani e della loro grandezza. È coraggioso perché racconta lo svuotamento di senso della parola popolo del dopo Tian’anmen, l’insospettabile fallimento delle Olimpiadi di Pechino, la tragedia di orde di venditori abusivi, l’orrore delle demolizioni forzate e un paese dove non esistono più leader. Soprattutto, Yu Hua ama raccontare storie, tenere, comiche, esilaranti, terribili, commoventi: migliaia di bambini in un villaggio remoto che ignorano il gioco del calcio, Obama che campeggia sorridente sui cartelloni pubblicitari di un’imitazione del Blackberry, gente che si accalca sulla strada per stringere la mano alla sosia in gonnella di Mao, una coppia di disoccupati che si suicida perché non può comprare una banana al figlio, un bambino che chiede alla polizia di rilasciare i suoi rapitori perché sono troppo poveri…”

Ecco dunque che parole come: popolo, leader, rivoluzione, inganno, lettura e scrivere acquisiscono un nuovo significato alla luce della lucida osservazione di Yu Hua. 

“Un illuminante e coraggioso vademecum del pianeta Cina, articolato in dieci parole chiave – alcune storiche come “popolo” e “rivoluzione”, altre di recente creazione, come “taroccato” e “huyou”, fregatura – in cui Yu Hua coglie i punti nevralgici di una società malata e svela cosa si nasconda dietro i numeri trionfali di uno sviluppo tanto rapido quanto sbilanciato. Le nostre interpretazioni eurocentriche vanno in frantumi e la Cina diventa, così, leggibile”